mercoledì 31 marzo 2010

RECENSIONE di Gianandrea de Antonellis

Siamo alle soglie delle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario della proclamazione del Regno d’Italia, che culmineranno il 17 marzo 2011. È naturale aspettarsi manifestazioni e pubblicazioni celebrative, appunto (e per ciò stesso, scarsamente scientifiche). Comunque, anche se nessuno, di fatto, pone in serio pericolo l’esistenza dello Stato italiano, è più che lecito domandarsi se esso si sia formato nel migliore dei modi e se, in particolare, all’unità politica imposta dagli eventi bellici del 1860-1 sia seguita una reale unificazione delle popolazioni dei vari Stati preunitari. Giuseppe Brienza pubblica un breve, ma denso “vademecum” in cui analizza sinteticamente, ma con grande efficacia tutti i punti dubbi del processo del risorgimento o (come si preferisce dire attualmente) della rivoluzione italiana. L’autore pone una distinzione tra il concetto di Unità e quello di unificazione: «cercherò di evidenziare la profonda differenza fra unità (realizzata) ed unificazione (solo promessa) dell’Italia: con la prima espressione indicando la qualità di uno Stato non diviso da confini politici interni e di un popolo che forma un tutt’unico dal punto di vista delle sue istituzioni; con la seconda esprimendo l’effetto che determina, nelle persone di cui lo Stato si compone, la concordia nelle idee e nei sentimenti essenziali alla vita dello stesso Stato».
All’unità, certo non desiderata dalla maggioranza degli abitanti della penisola italiana, si pervenne grazie ad un lavoro di suggestione demagogica, di propaganda antipapale, antiborbonica ed antiaustriaca: la prima portò all’anticattolicesimo, la seconda pose le basi del problema del Mezzogiorno, la terza sfociò nei massacri dell’«inutile strage» della prima guerra mondiale. L’autore ripercorre i passaggi con cui venne fomentata la campagna demagogica. Un caso per tutti: il “falso” della frase di Metternich sull’Italia, che lo statista austriaco avrebbe definito «mera espressione geografica»; in realtà la vera frase era: «L’Italia è un nome geografico: la penisola italica è composta di Stati indipendenti». Niente spregiativo “mera”, quindi, nessuna volontà svalutativa, ma semplicemente una constatazione di fatto, tanto che lo stesso appellativo – “nome geografico” – era riferito nello stesso dispaccio alla Germania. Fu il quotidiano Il nazionale di Napoli, diretto da Silvio Spaventa che, un anno dopo, nella temperie rivoluzionaria del 1848, pubblicò una traduzione volontariamente falsa di quello che divenne un aforisma da tutti citato, segno del disprezzo che l’odiata Austria nutriva nei confronti di un’Italia da “liberare” a tutti i costi…

Gianandrea de Antonellis

in Radici Cristiane. Mensile di informazione e cultura
Anno VI - n. 53 - Brescia aprile 2010 - p. 94

domenica 14 marzo 2010

"L’Unità che ha diviso l’Italia", intervista di Maurizio Brunetto

Nel 2011, ricorrerà il 150° anniversario dell’unità d’Italia. Un processo di unificazione, non privo però di “ombre”. Quali? Ce ne parla Giuseppe Brienza, giornalista e saggista cattolico, intervistato per noi.

Giuseppe Brienza, giornalista cattolico, saggista e corrispondente dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale, ha pubblicato recentemente sul tema un saggio agile e ben documentato: Unità senza identità. Come il Risorgimento ha schiacciato le differenze fra gli Stati italiani (Chieti 2009) che segue a I Gesuiti e la Rivoluzione italiana nel 1848. Come già una volta in passato, il dottor Brienza si è detto ben lieto di rispondere ad alcune domande per i lettori del nostro Settimanale.

MAURIZIO BRUNETTI: Dottor Brienza, crede che la distanza temporale che ci divide dall’evento, ne permetterà una rilettura non ideologicamente orientata?

GIUSEPPE BRIENZA: Effettivamente, quello che, tranne poche eccezioni, ci è stato tramandato come il mito fondante della nazione italiana, è stato per quasi un secolo e mezzo decantato come impresa gloriosa da non mettere minimamente in discussione. Al Risorgimento abbiamo veduto ispirarsi sia i partigiani del 1943-45, che con i loro drappi rossi rivendicavano una continuità ideale con i garibaldini, sia le Forze armate della Repubblica Sociale Italiana, che usarono Goffredo Mameli e l’iconografia risorgimentale per incitare la popolazione a resistere contro l’invasore straniero, sia, infine, il fronte social-comunista, che pose l’effige di Giuseppe Garibaldi nello stemma elettorale del 18 aprile del 1948.
Da qualche anno, però, la storiografia non si appiattisce più alla vulgata risorgimentista: gli studi sulla storia del processo unitario italiano hanno avuto una vera rinascita di interesse ed alcuni studiosi, soprattutto cattolici ma non solo (penso ad esempio a Ernesto Galli della Loggia o Emilio Gentile), hanno iniziato a riscuotere una consistente eco nel dibattito culturale italiano rimettendo in discussione studi ed interpretazioni. Dall’attuale rinascita storiografica è scaturita, quindi, una rivisitazione dell’intero quarantennio risorgimentale, che va all’incirca dal 1830 al 1870 e delle sue conseguenze — in pratica dell’intera storia italiana degli ultimi due secoli.

MAURIZIO BRUNETTI: Dunque il processo di unificazione ha avuto le sue ombre…

GIUSEPPE BRIENZA: …che non sono poche. Tutta una variegata pubblicistica – anche di valore – contro la ricorrente retorica delle celebrazioni fa bene a ricordare che l’unificazione del Regno d’Italia fu subita da diversi territori manu militari.
Ma, al di là delle vittime dell’espansionismo militare del piemontese Regno di Sardegna, penso soprattutto ai contadini meridionali "giustiziati" sommariamente per l’entrata in vigore di una iniqua legge marziale — fu l’intera compagine sociale italiana a subire una violenza diretta ad abbattere il proprio universo di tipo religioso e culturale. Molti protagonisti del "Risorgimento" aderivano a un progetto interamente ideologico: sostituire la cultura tradizionale e cattolica dei popoli della Penisola con un diverso abito di pensiero, improntato alle filosofie politiche scaturite dalla svolta antropologica del pensiero ateo e illuminista del settecento che scatenò la Rivoluzione in Francia del 1789. Questo spiega anche le leggi sabaude che portarono alla soppressione degli ordini religiosi e delle organizzazioni assistenziali cattoliche (le benemerite Opere Pie).
L’effetto più decisivo di tale operazione sarà la riduzione dell’influsso del cattolicesimo sulla cultura e sugli statuti dei popoli e delle comunità, nonché la sua rimozione, emarginazione o inquinamento — soprattutto attraverso la spiritualità "fredda" del giansenismo — nella vita pratica.

MAURIZIO BRUNETTI: Ma ci hanno insegnato che l’unità politica fu voluta dalla maggioranza del popolo…

GIUSEPPE BRIENZA: Guardi, il popolo meridionale, in particolare, era talmente contento dei piemontesi che esaltavano l’unità d’Italia (parlando in francese !), che da Torino furono mandati 120.000 soldati per reprimere le insorgenze. La storia dei vari plebisciti-farsa, poi, è ben nota agli studiosi più seri.
A fare il "Risorgimento" fu una minoranza piccola ma aggressiva, che negli anni precedenti non aveva disdegnato di ricorrere al terrorismo.

MAURIZIO BRUNETTI: Ritornando al suo saggio, le ripropongo il sottotitolo in forma interrogativa: “Come il Risorgimento ha schiacciato le differenze fra gli Stati italiani”?

GIUSEPPE BRIENZA: La cancellazione "d’ufficio" di secolari organismi politico-amministrativi, l’appropriazione delle loro risorse finanziarie, getterà alle ortiche i loro ordinamenti e codici di leggi; esautorerà completamente — tranne forse i quadri militari più elevati — i loro dirigenti; destinerà all’esilio i loro sovrani, ancorché rassegnati e poco pericolosi.
L’estensione a tutta la Penisola di ordinamenti e sistemi giuridici uniformi — quelli sabaudi —, con la conseguente fine delle autonomie territoriali e delle forme di autogoverno, così come l’accentramento totale dell’Amministrazione, che avrà il suo simbolo nella figura del prefetto, saranno percepiti e accolti con grande difficoltà.
Che tutto ciò abbia causato un generale impoverimento, materiale e morale, dell’Italia sarà notato dal grande Fëdor Dostoevskij che, nel suo Diario di uno scrittore, annotò: «[...] per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un’idea reale, organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale. I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano che erano i portatori di un’idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e lo presentivano. La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale. Ammettiamo pure che questa idea mondiale, alla fine, si era logorata, stremata ed esaurita (è stato proprio così?) ma che cosa è venuto al suo posto, per che cosa possiamo congratularci con l’Italia, che cosa ha ottenuto di meglio dopo la diplomazia del conte di Cavour? È sorto un piccolo regno di second’ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale.»

MAURIZIO BRUNETTI
in Il Settimanale di Padre Pio
Rivista settimanale di formazione e di informazione cattolica dei Francescani dell’Immacolata
anno IX - n. 10 - Roma 14 marzo 2010 - pp. 30-31

lunedì 8 marzo 2010

RECENSIONE di Maurizio Schoepflin (il Borghese, marzo 2010)

GIUSEPPE BRIENZA
Unità senza identità
Come il Risorgimento
ha schiacciato le differenze fra gli Stati italiani
Edizioni Solfanelli, Chieti 2009, pp. 72 - € 7,00.

Uno dei maggiori pregi di questo agile e sintetico saggio è quello di evitare lo stile «pamphlettistico» che, troppo spesso, caratterizza la pubblicistica «revisionistica» sul Risorgimento, quel processo storico-socialereligioso che l’Autore, in buona compagnia nell’ultimo decennio se si vede la bibliografia selezionata e riportata alle pagg. 63-65, definisce «la Rivoluzione italiana, […] versione nostrana ottocentesca della sovversione dell’ancien régime, avvenuta in conformità ai 'principi del 1789'» (pag. 5).
L’Autore muove la sua disamina del modus operandi in vista del raggiungimento dell'Unità d'Italia partendo dall'affermazione del fenomeno spesso mi s conosc i uto del - l'«Insorgenza» (1796-1815) che, a suo avviso e secondo l'interpretazione di tutta una serie di studiosi, raccolti, come lui, nell'Istituto Storico dell'Insorgenza e per l'Identità Nazionale (Oscar Sanguinetti, Marco Invernizzi, Sandro Petrucci e altri), ha rappresentato la risposta degli Italiani alla crisi prodotta dal cambiamento portato dall'irrompere della Rivoluzione e, contemporaneamente, «la prima manifestazione di un idem sentire degli Italiani» (pag. 7).
È senz’altro questo il punto da cui (ri)partire per una valutazione serena del processo unitario: il fatto che già nel «triennio giacobino» del 1796-1799 gli Italiani reagissero in armi, in modo naturale e concorde, contro l’attacco alla loro bimillenaria identità religiosa e a sostegno del Papa, «non vuol dire che fossero meno Italiani dei successivi artefici dei vari moti e spedizioni ‘patriottiche’ che, non fondandosi sulla ‘nazionalità spontanea’, non potevano certo fondare ‘naturalmente’ una unità fra gli italiani» (pag. 8). Leggendo tanta pubblicistica di questi anni sembrerebbe invece il contrario, e questa squalifica intellettuale, oltre che morale e civile, dei vinti pare davvero fuori luogo.
Contro la leggenda rosa negli anni recenti hanno già scritto pagine importanti Autori come Ernesto Galli della Loggia o Emilio Gentile, a cui infatti Brienza si ricollega aggiungendo un’analisi delle criticità istituzionali e amministrative palesate dal neo Stato unitario del 1861 che, non di rado, mutatis mutandis, giungono fino al presente seguendo un filo rosso senza soluzione di continuità.
Oggetto di studio vero nomine è quindi la realtà amministrativa osservata da un punto di vista storicogiuridico e illuminata dalla lezione autorevole di studiosi quali Gianfranco Miglio e Roberto Ruffilli. Sei sono le «ombre» che l'Autore rintraccia nell'attuazione dell'unità d'Italia: il centralismo oppressivo, l'annessionismo ideolo gico e pseudoplebiscitario, i ripetuti interventi stranieri portatori di tendenze protestanti e massoniche (vedi Inghilterra), a loro volta causa del mancato riconoscimento da parte di altri Paesi europei, la guerra alla Chiesa e all'identità religiosa del popolo italiano e la «piemontesizzazione» autoritaria dello Stato sabaudo.
L’Autore sostiene che, se a centocinquant’anni dalla sua realizzazione l’unità territoriale è ormai anzitutto un fatto, l’unificazione delle idee e dei sentimenti del popolo tutto che compone la penisola è ancora ben lungi dal realizzarsi. Brienza appare tuttavia convinto che ciò che egli chiama «nazionalità spontanea», nonostante tutto, esiste ancora, e che il prenderne atto dovrebbe far parte di una ordinaria realpolitik.

MAURIZIO SCHOEPFLIN
il Borgese, Anno X, n. 3, marzo 2010, p. 83

sabato 6 marzo 2010

Brienza indaga la Rivoluzione italiana dell’800, di Lorenzo Fazzini

«L’Italia, dopo l’Unità, ha patito un violento attacco al suo ethos da parte di forze intenzionate a costruire un potere culturale, quindi anche ' religioso', da contrapporre all’autorità spirituale e civile da sempre incarnata dalla Chiesa cattolica». Ne è convinto Giuseppe Brienza, autore del recente «Unità senza identità. Come il Risorgimento ha schiacciato le differenze fra gli Stati italiani» (Solfanelli, Chieti 2009, pagine 72, euro 7). Prendendo come riferimenti i politologi Gianfranco Miglio (1918-2001) e Roberto Ruffilli (1937-1988), Brienza individua nel Risorgimento una sorta di versione italiana della Rivoluzione francese, «vale a dire la versione nostrana ottocentesca della sovversione dell’Ancien régime». Inoltre Brienza sottolinea le «ingerenze britanniche sull’Unità d’Italia», di natura sia geopolitica sia cultural-religiosa.


Lorenzo Fazzini
Brienza indaga la Rivoluzione italiana dell’800
in Avvenire-Agorà, 6 marzo 2010, p. 29

mercoledì 3 marzo 2010

RECENSIONE di Fabio Trevisan

Il recente saggio di Giuseppe Brienza: “Unità senza identità – Come il Risorgimento ha schiacciato le differenze fra gli Stati italiani” (Edizioni Solfanelli) individua e chiarisce alcune ombre che gravano sull’identità del processo unitario nazionale ed arriva puntualmente in prossimità dei 150 anni dell’unità d’Italia.
Senza ricorrere alle frequenti leggende auree che celebrano i personaggi ed i fatti risorgimentali avvolgendoli in una fuorviante mistica eroica (come spesso appaiono perfino nei testi scolastici), Brienza apporta un significativo contributo alla definizione dei fatti storici realmente accaduti, con l’ausilio di fonti e citazioni ben documentate.
Innanzitutto i termini vengono, nel saggio, “purificati” dalla retorica propagandistica dei vincitori, cosicchè il tanto declamato “Risorgimento” andrebbe più propriamente definito quale “processo rivoluzionario italiano”.
Fin dal triennio giacobino 1796-1799 – ricorda l’Autore – ampie regioni dell’Italia furono invase dalle truppe napoleoniche al servizio della Rivoluzione, provocando quello straordinario fenomeno omogeneo e, questo sì, unitario, delle Insorgenze popolari (confinato, quando va bene, a pochissime righe nei manuali di storia scolastici).
Un filo rosso collega così la Rivoluzione detta francese alla Rivoluzione italiana (il Risorgimento).
La nascita dello Stato moderno, burocratico e accentrato, subordinò i valori universali della res publica christiana ai nuovi valori nazionali, avvalendosi del potere per imporre uniformità di costumi e di idee in modo indiscriminato su tutti i territori e popoli occupati.
Questo processo rivoluzionario è stato ben sintetizzato dalla celeberrima ed agghiacciante frase attribuita a Massimo d’Azeglio: “L’Italia è fatta, ora bisogna fare gli Italiani”.
L’imposizione violenta di un abito inadeguato causò al corpo sociale i gravi disagi di cui tuttora soffre e, rammenta sempre Brienza, disperse una parte rilevante delle inestimabili ricchezze culturali del nostro popolo (non solo ovviamente per i notori saccheggi napoleonici).
Perfino un osservatore prestigioso e super partes (come si direbbe oggi) quale lo scrittore russo Fedor Michajlovic Dostoevskij (1821-1881) notò che: “…per duemila anni l’Italia ha portato in sé
un’idea universale capace di riunire il mondo…un’idea reale, organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale…la scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale…ma che cosa è venuto al suo posto, per che cosa possiamo congratularci con l’Italia ?
E’ sorto un piccolo regno di second’ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale…
un regno soddisfatto della sua unità, che non significa letteralmente nulla, un’unità meccanica e non spirituale…ecco quel che ne è derivato, ecco la creazione del conte di Cavour !”.
L’unificazione della Penisola sotto la dinastia dei Savoia ha ispirato sia i partigiani del 1943-45 e sia il fronte social-comunista che pose l’effigie di Giuseppe Garibaldi nello stemma elettorale del
18 aprile 1948 (altra data cruciale per il nostro Paese, anch’essa scarsamente considerata dalla vulgata storica dominante).
Numerosi ed accreditati studi storici hanno sollevato critiche al come è stato realizzato il processo unitario italiano, non tanto – è qui doveroso sottolineare – per delegittimare lo Stato Italiano, quanto per restituire verità e dignità al nostro Paese, dando così continuità a quella nuova storiografia anticonformista, che il Brienza stesso preferisce chiamare, piuttosto che alla cosiddetta “storiografia revisionista”.
Evidenziando la profonda differenza fra unità (realizzata) ed unificazione (solo promessa) dell’Italia, l’Autore si ispira alla grandiosa opera intellettuale di Antonio Rosmini (1797-1855), il quale avvertì il massimo bisogno dell’Italia di essere forte nel suo tutto e nelle sue parti, in quel progetto di Italia unita federale funzionale allo sviluppo della persona e della famiglia.

Quali ombre gravano ancora minacciose sul processo unitario nazionale?
Brienza ne elenca alcune di rilevante importanza: il centralismo, l’annessione violenta, le ingerenze straniere (comprese le massonerie) e marcatamente il carattere anticattolico.
Soprattutto i Gesuiti, ricorda Brienza, denunciarono la gravità di quello che stava succedendo.
Fin dal 1854-55 il governo Cavour-Rattazzi presentò un progetto di legge contro gli ordini mendicanti e contemplativi accusati di essere “inutili quindi dannosi”.
Seguirono così le leggi del 1867 di soppressione degli ordini e delle congregazioni religiose di vita contemplativa, con incameramento dei loro patrimoni.
Le stesse “camicie rosse” garibaldine si prodigarono in “gesta” come la depredazione dei conventi e la cacciata di religiosi dai loro Istituti.
Il Risorgimento fu quindi fin dal 1848 decisamente anticattolico e rifiutò in toto la tradizione religiosa dell’Italia.
Un’altra gravosa ombra fu pure l’unificazione amministrativa, operata sulla base delle leggi del 1859-1865, che non tennero conto delle legislazioni e delle fisionomie istituzionali “non piemontesi” (in particolar modo dell’eccellenza amministrativa del Lombardo-Veneto).
Nel Sud inoltre si abrogò il diritto consuetudinario (caratteristico della common law anglosassone) a favore del codice di diritto civile piemontese (ispirato al codice napoleonico).
Il saggio di Brienza si diffonde, con competenza e rigore storico, sulle peculiarità amministrative pre-unitarie, evidenziandone luci ed ombre.
Nel rilevare alcune positività del processo unitario nazionale, l’Autore cita, ad esempio, il principio dell’istruzione elementare obbligatoria gratuita su tutto il territorio italiano.
Il saggio: “Unità senza identità” ha il pregevole merito, anche e non solo per il formato, di essere un tascabile per il pronto uso di quegli Italiani che desiderino studiare la propria storia senza paraventi ideologici o giudizi preconfezionati.
L’augurio è che possa essere un utile strumento per conoscere e riconoscere la storia di tutti gli Italiani (non solo dei vincitori).
Solo così infatti, conclude l’Autore, sarà possibile porre le premesse di quella riconciliazione nazionale da tutti auspicata.

Fabio Trevisan