martedì 1 dicembre 2009

Estratto: UNITÀ SENZA IDENTITÀ

La parola unità concilia differenze: si è uniti quando si trova un obiettivo comune che fa vincere il naturale e, spesso, legittimo particolarismo. L’unità d’Italia ebbe, come dice la parola, l’obiettivo «comune» di formare una entità che legasse insieme le diverse anime di una «nazione». A questa unificazione del Paese nell’Ottocento si giunse però in modo tutt’altro che «naturale» e l’imposizione di un abito inadeguato causò al corpo sociale i gravi disagi di cui soffre tuttora e disperse una parte rilevante delle inestimabili ricchezze culturali della nazione.
Come noterà lo scrittore russo Fëdor Michajlovic’ Dostoevskij (1821-1881): "[...] per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un’idea reale, organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale. I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano che erano i portatori di un’idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e lo presentivano. La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale. Ammettiamo pure che questa idea mondiale, alla fine, si era logorata, stremata ed esaurita (è stato proprio così?) ma che cosa è venuto al suo posto, per che cosa possiamo congratularci con l’Italia, che cosa ha ottenuto di meglio dopo la diplomazia del conte di Cavour [Camillo (1810-1861)]? È sorto un piccolo regno di second’ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale, [...] un regno soddisfatto della sua unità, che non significa letteralmente nulla, un’unità meccanica e non spirituale (cioè non l’unità mondiale di una volta) e per di più pieno di debiti non pagati e soprattutto soddisfatto del suo essere un regno di second’ordine. Ecco quel che ne è derivato, ecco la creazione del conte di Cavour!.» (1)


Necessità di una nuova analisi del Risorgimento
che non delegittimi lo Stato unitario


Quello che, tranne poche eccezioni, ci è stato tramandato come il mito fondante della nazione italiana, cioè l’unificazione della Penisola sotto la dinastia dei Savoia, è stato tanto decantato come impresa gloriosa da non mettere in discussione. Al Risorgimento abbiamo veduto ispirarsi sia i partigiani del 1943-45, che con i loro drappi rossi rivendicavano una continuità ideale con i garibaldini, sia le forze armate della Repubblica Sociale Italiana, che usarono Goffredo Mameli (1827-1849) e l’iconografia risorgimentale per incitare la popolazione a resistere contro l’invasore straniero e sia, infine, il fronte social-comunista, che pose l’effige di Giuseppe Garibaldi (1807-1882) nello stemma elettorale del 18 aprile del 1948.
Negli anni successivi, tranne poche accezioni, seguì l’appiattimento sulla storiografia del passato.
Da qualche anno, però, gli studi sulla storia del processo unitario italiano hanno avuto una vera rinascita di interesse ed alcuni studiosi, soprattutto cattolici ma non solo (penso ad esempio a Ernesto Galli della Loggia o Emilio Gentile), hanno iniziato a riscuotere una consistente eco nel dibattito culturale italiano rimettendo in discussione studi ed interpretazioni della vulgata risorgimentista. Dall’attuale rinascita storiografica è scaturita, quindi, una rivisitazione dell’intero quarantennio risorgimentale (1830-1870) e delle sue conseguenze — in pratica dell’intera storia italiana degli ultimi due secoli.
Galli della Loggia, Ordinario di Storia contemporanea all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano ed editorialista del "Corriere della Sera", ha efficacemente riconosciuto che «[…] la pretesa monopolistica da parte di una fazione (della fazione dei vincitori) di rappresentare essa sola l’idea di nazione, la scomunica degli avversari perdenti come nemici della nazione in funzione della propria auto legittimazione: tutti questi elementi appartengono al codice genetico stesso del nostro Stato unitario, della nostra costruzione nazionale.» (2)
Le critiche, che al processo unitario italiano sono state avanzate negli ultimi anni da storici cattolici e non, non sono pertanto finalizzate a delegittimare lo Stato Italiano, nel quale tutti ormai ci riconosciamo: si dovrebbe parlare altrimenti, per assurdo, di storiografia con finalità propriamente politica e, in certo senso, eversiva. Non essendo tale la storiografia "revisionista" degli ultimi anni, è intollerabile continuare ad essere ideologicamente tacciati di lesa maestà istituzionale se, documenti alla mano, si denuncia come, dopo il 1861, i Savoia ed i governi auto-proclamatisi liberali abbiano dato vita ad uno stato semi-tirannico, che governò nel più assoluto spregio dei dettami dello Statuto carloalbertino (3). E, aiutati da protestanti e massoni di tutto il mondo, si sottolinea come i governanti dello Stato sabaudo della "Riforma" cercarono di imporre anche in Italia le stesse conseguenze che si ebbero in centro e nord Europa, innanzitutto la soppressione degli ordini religiosi e delle organizzazioni assistenziali cattoliche (le benemerite Opere Pie).
[…]


1) F. M. Dostoevskij, Diario di uno scrittore, ed. it. a cura di E. Lo Gatto, Sansoni, Firenze 1981, 1877, Maggio-Giugno, capitolo secondo, pp. 925-926.
2) E. Galli della Loggia, La morte della patria. La crisi dell’idea di nazione tra Resistenza, antifascismo e Repubblica, Laterza, Roma-Bari 1996, p. 41.
3) Per una disamina del rapporto fra Statuto del 1848 ed i provvedimenti di "unificazione amministrativa" del 1859-60, cfr. A. Pensovecchio Li Bassi, Il biennio dell’unificazione italiana e lo Statuto albertino, in "Nuove autonomie", anno XIII, n. 5-6/2004, pp. 723-736.




Giuseppe Brienza
UNITÀ SENZA IDENTITÀ
Come il Risorgimento ha schiacciato le differenze fra gli Stati italiani
Edizioni Solfanelli
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