domenica 21 febbraio 2010

La storia non si riscrive? di Andrea Rossi

Giuseppe Brienza, Unità senza identità, Chieti, Solfanelli, 2009

Giuseppe Brienza, a differenza di diversi maître à penser, non ha la pretesa di dare autorevoli conferme o altrettanto ingombranti smentite alle consolidate (mummificate?) interpretazioni sul risorgimento italiano, ma semplicemente di far riflettere il lettore su alcune pagine ritenute “inalterabili” nella storia del secondo cinquantennio del secolo XIX. Il compito dello studioso romano è arduo, in quanto nel nostro paese pare che tutto ciò che in qualche modo possa mettere in discussione una storiografia che talvolta odora di ideologie fallite e stantìe, è in genere considerato operazione effettuata da potenze oscure, illiberali e reazionarie, per fini (ovviamente!) non limpidi.
E’ questa, a parer nostro, una vera e propria forma di “horror vacui”: si teme che spiegando o ricostruendo i fatti in altro modo, possano crollare non tanto le affastellate vestigia di studi talvolta ultracentenari, ma addirittura l’architettura costituzionale e l’unità nazionale; perfino uno studioso non tacciabile di simpatie verso questa forma di “revisionismo”, come Mario Isnenghi, ha parlato con grande spregiudicatezza di questo tema nel volume collettaneo curato da Angelo del Boca La storia negata (Vicenza, Neri Pozza, 2009).
Brienza non ha la pretesa di dare lezioni a nessuno, ma solo di far riflettere sul fatto che la “piallatura” – talvolta sanguinosa e intollerante verso le tradizioni di molte regioni italiane – avvenuta nel trentennio successivo all’unità d’Italia, fu il vero e proprio “peccato orginale” da cui discesero i mali di cui la nazione soffre da un secolo e mezzo: la scarsa coesione sociale, il progresso di una parte costruito sull’abbandono dell’altra, l’abolizione di molti usi e costumi, talvolta anche fortemente indipendenti da loro, per un’uniformità di facciata che poco ha giovato alla costruzione del paese.
E’ davvero meritevole di un’anatema “laico, liberale e libertario” chi si pone in quest’ottica? E, di grazia, per quale ragione non possiamo ragionare attorno a quei temi? Infelice epoca davvero, quella in cui non ci si fanno domande per paura delle risposte…




http://orientamentistorici.blogspot.com/2010/02/ingerenze-vaticane.html

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