mercoledì 3 marzo 2010

RECENSIONE di Fabio Trevisan

Il recente saggio di Giuseppe Brienza: “Unità senza identità – Come il Risorgimento ha schiacciato le differenze fra gli Stati italiani” (Edizioni Solfanelli) individua e chiarisce alcune ombre che gravano sull’identità del processo unitario nazionale ed arriva puntualmente in prossimità dei 150 anni dell’unità d’Italia.
Senza ricorrere alle frequenti leggende auree che celebrano i personaggi ed i fatti risorgimentali avvolgendoli in una fuorviante mistica eroica (come spesso appaiono perfino nei testi scolastici), Brienza apporta un significativo contributo alla definizione dei fatti storici realmente accaduti, con l’ausilio di fonti e citazioni ben documentate.
Innanzitutto i termini vengono, nel saggio, “purificati” dalla retorica propagandistica dei vincitori, cosicchè il tanto declamato “Risorgimento” andrebbe più propriamente definito quale “processo rivoluzionario italiano”.
Fin dal triennio giacobino 1796-1799 – ricorda l’Autore – ampie regioni dell’Italia furono invase dalle truppe napoleoniche al servizio della Rivoluzione, provocando quello straordinario fenomeno omogeneo e, questo sì, unitario, delle Insorgenze popolari (confinato, quando va bene, a pochissime righe nei manuali di storia scolastici).
Un filo rosso collega così la Rivoluzione detta francese alla Rivoluzione italiana (il Risorgimento).
La nascita dello Stato moderno, burocratico e accentrato, subordinò i valori universali della res publica christiana ai nuovi valori nazionali, avvalendosi del potere per imporre uniformità di costumi e di idee in modo indiscriminato su tutti i territori e popoli occupati.
Questo processo rivoluzionario è stato ben sintetizzato dalla celeberrima ed agghiacciante frase attribuita a Massimo d’Azeglio: “L’Italia è fatta, ora bisogna fare gli Italiani”.
L’imposizione violenta di un abito inadeguato causò al corpo sociale i gravi disagi di cui tuttora soffre e, rammenta sempre Brienza, disperse una parte rilevante delle inestimabili ricchezze culturali del nostro popolo (non solo ovviamente per i notori saccheggi napoleonici).
Perfino un osservatore prestigioso e super partes (come si direbbe oggi) quale lo scrittore russo Fedor Michajlovic Dostoevskij (1821-1881) notò che: “…per duemila anni l’Italia ha portato in sé
un’idea universale capace di riunire il mondo…un’idea reale, organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale…la scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale…ma che cosa è venuto al suo posto, per che cosa possiamo congratularci con l’Italia ?
E’ sorto un piccolo regno di second’ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale…
un regno soddisfatto della sua unità, che non significa letteralmente nulla, un’unità meccanica e non spirituale…ecco quel che ne è derivato, ecco la creazione del conte di Cavour !”.
L’unificazione della Penisola sotto la dinastia dei Savoia ha ispirato sia i partigiani del 1943-45 e sia il fronte social-comunista che pose l’effigie di Giuseppe Garibaldi nello stemma elettorale del
18 aprile 1948 (altra data cruciale per il nostro Paese, anch’essa scarsamente considerata dalla vulgata storica dominante).
Numerosi ed accreditati studi storici hanno sollevato critiche al come è stato realizzato il processo unitario italiano, non tanto – è qui doveroso sottolineare – per delegittimare lo Stato Italiano, quanto per restituire verità e dignità al nostro Paese, dando così continuità a quella nuova storiografia anticonformista, che il Brienza stesso preferisce chiamare, piuttosto che alla cosiddetta “storiografia revisionista”.
Evidenziando la profonda differenza fra unità (realizzata) ed unificazione (solo promessa) dell’Italia, l’Autore si ispira alla grandiosa opera intellettuale di Antonio Rosmini (1797-1855), il quale avvertì il massimo bisogno dell’Italia di essere forte nel suo tutto e nelle sue parti, in quel progetto di Italia unita federale funzionale allo sviluppo della persona e della famiglia.

Quali ombre gravano ancora minacciose sul processo unitario nazionale?
Brienza ne elenca alcune di rilevante importanza: il centralismo, l’annessione violenta, le ingerenze straniere (comprese le massonerie) e marcatamente il carattere anticattolico.
Soprattutto i Gesuiti, ricorda Brienza, denunciarono la gravità di quello che stava succedendo.
Fin dal 1854-55 il governo Cavour-Rattazzi presentò un progetto di legge contro gli ordini mendicanti e contemplativi accusati di essere “inutili quindi dannosi”.
Seguirono così le leggi del 1867 di soppressione degli ordini e delle congregazioni religiose di vita contemplativa, con incameramento dei loro patrimoni.
Le stesse “camicie rosse” garibaldine si prodigarono in “gesta” come la depredazione dei conventi e la cacciata di religiosi dai loro Istituti.
Il Risorgimento fu quindi fin dal 1848 decisamente anticattolico e rifiutò in toto la tradizione religiosa dell’Italia.
Un’altra gravosa ombra fu pure l’unificazione amministrativa, operata sulla base delle leggi del 1859-1865, che non tennero conto delle legislazioni e delle fisionomie istituzionali “non piemontesi” (in particolar modo dell’eccellenza amministrativa del Lombardo-Veneto).
Nel Sud inoltre si abrogò il diritto consuetudinario (caratteristico della common law anglosassone) a favore del codice di diritto civile piemontese (ispirato al codice napoleonico).
Il saggio di Brienza si diffonde, con competenza e rigore storico, sulle peculiarità amministrative pre-unitarie, evidenziandone luci ed ombre.
Nel rilevare alcune positività del processo unitario nazionale, l’Autore cita, ad esempio, il principio dell’istruzione elementare obbligatoria gratuita su tutto il territorio italiano.
Il saggio: “Unità senza identità” ha il pregevole merito, anche e non solo per il formato, di essere un tascabile per il pronto uso di quegli Italiani che desiderino studiare la propria storia senza paraventi ideologici o giudizi preconfezionati.
L’augurio è che possa essere un utile strumento per conoscere e riconoscere la storia di tutti gli Italiani (non solo dei vincitori).
Solo così infatti, conclude l’Autore, sarà possibile porre le premesse di quella riconciliazione nazionale da tutti auspicata.

Fabio Trevisan

Nessun commento:

Posta un commento