domenica 14 marzo 2010

"L’Unità che ha diviso l’Italia", intervista di Maurizio Brunetto

Nel 2011, ricorrerà il 150° anniversario dell’unità d’Italia. Un processo di unificazione, non privo però di “ombre”. Quali? Ce ne parla Giuseppe Brienza, giornalista e saggista cattolico, intervistato per noi.

Giuseppe Brienza, giornalista cattolico, saggista e corrispondente dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale, ha pubblicato recentemente sul tema un saggio agile e ben documentato: Unità senza identità. Come il Risorgimento ha schiacciato le differenze fra gli Stati italiani (Chieti 2009) che segue a I Gesuiti e la Rivoluzione italiana nel 1848. Come già una volta in passato, il dottor Brienza si è detto ben lieto di rispondere ad alcune domande per i lettori del nostro Settimanale.

MAURIZIO BRUNETTI: Dottor Brienza, crede che la distanza temporale che ci divide dall’evento, ne permetterà una rilettura non ideologicamente orientata?

GIUSEPPE BRIENZA: Effettivamente, quello che, tranne poche eccezioni, ci è stato tramandato come il mito fondante della nazione italiana, è stato per quasi un secolo e mezzo decantato come impresa gloriosa da non mettere minimamente in discussione. Al Risorgimento abbiamo veduto ispirarsi sia i partigiani del 1943-45, che con i loro drappi rossi rivendicavano una continuità ideale con i garibaldini, sia le Forze armate della Repubblica Sociale Italiana, che usarono Goffredo Mameli e l’iconografia risorgimentale per incitare la popolazione a resistere contro l’invasore straniero, sia, infine, il fronte social-comunista, che pose l’effige di Giuseppe Garibaldi nello stemma elettorale del 18 aprile del 1948.
Da qualche anno, però, la storiografia non si appiattisce più alla vulgata risorgimentista: gli studi sulla storia del processo unitario italiano hanno avuto una vera rinascita di interesse ed alcuni studiosi, soprattutto cattolici ma non solo (penso ad esempio a Ernesto Galli della Loggia o Emilio Gentile), hanno iniziato a riscuotere una consistente eco nel dibattito culturale italiano rimettendo in discussione studi ed interpretazioni. Dall’attuale rinascita storiografica è scaturita, quindi, una rivisitazione dell’intero quarantennio risorgimentale, che va all’incirca dal 1830 al 1870 e delle sue conseguenze — in pratica dell’intera storia italiana degli ultimi due secoli.

MAURIZIO BRUNETTI: Dunque il processo di unificazione ha avuto le sue ombre…

GIUSEPPE BRIENZA: …che non sono poche. Tutta una variegata pubblicistica – anche di valore – contro la ricorrente retorica delle celebrazioni fa bene a ricordare che l’unificazione del Regno d’Italia fu subita da diversi territori manu militari.
Ma, al di là delle vittime dell’espansionismo militare del piemontese Regno di Sardegna, penso soprattutto ai contadini meridionali "giustiziati" sommariamente per l’entrata in vigore di una iniqua legge marziale — fu l’intera compagine sociale italiana a subire una violenza diretta ad abbattere il proprio universo di tipo religioso e culturale. Molti protagonisti del "Risorgimento" aderivano a un progetto interamente ideologico: sostituire la cultura tradizionale e cattolica dei popoli della Penisola con un diverso abito di pensiero, improntato alle filosofie politiche scaturite dalla svolta antropologica del pensiero ateo e illuminista del settecento che scatenò la Rivoluzione in Francia del 1789. Questo spiega anche le leggi sabaude che portarono alla soppressione degli ordini religiosi e delle organizzazioni assistenziali cattoliche (le benemerite Opere Pie).
L’effetto più decisivo di tale operazione sarà la riduzione dell’influsso del cattolicesimo sulla cultura e sugli statuti dei popoli e delle comunità, nonché la sua rimozione, emarginazione o inquinamento — soprattutto attraverso la spiritualità "fredda" del giansenismo — nella vita pratica.

MAURIZIO BRUNETTI: Ma ci hanno insegnato che l’unità politica fu voluta dalla maggioranza del popolo…

GIUSEPPE BRIENZA: Guardi, il popolo meridionale, in particolare, era talmente contento dei piemontesi che esaltavano l’unità d’Italia (parlando in francese !), che da Torino furono mandati 120.000 soldati per reprimere le insorgenze. La storia dei vari plebisciti-farsa, poi, è ben nota agli studiosi più seri.
A fare il "Risorgimento" fu una minoranza piccola ma aggressiva, che negli anni precedenti non aveva disdegnato di ricorrere al terrorismo.

MAURIZIO BRUNETTI: Ritornando al suo saggio, le ripropongo il sottotitolo in forma interrogativa: “Come il Risorgimento ha schiacciato le differenze fra gli Stati italiani”?

GIUSEPPE BRIENZA: La cancellazione "d’ufficio" di secolari organismi politico-amministrativi, l’appropriazione delle loro risorse finanziarie, getterà alle ortiche i loro ordinamenti e codici di leggi; esautorerà completamente — tranne forse i quadri militari più elevati — i loro dirigenti; destinerà all’esilio i loro sovrani, ancorché rassegnati e poco pericolosi.
L’estensione a tutta la Penisola di ordinamenti e sistemi giuridici uniformi — quelli sabaudi —, con la conseguente fine delle autonomie territoriali e delle forme di autogoverno, così come l’accentramento totale dell’Amministrazione, che avrà il suo simbolo nella figura del prefetto, saranno percepiti e accolti con grande difficoltà.
Che tutto ciò abbia causato un generale impoverimento, materiale e morale, dell’Italia sarà notato dal grande Fëdor Dostoevskij che, nel suo Diario di uno scrittore, annotò: «[...] per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un’idea reale, organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale. I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano che erano i portatori di un’idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e lo presentivano. La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale. Ammettiamo pure che questa idea mondiale, alla fine, si era logorata, stremata ed esaurita (è stato proprio così?) ma che cosa è venuto al suo posto, per che cosa possiamo congratularci con l’Italia, che cosa ha ottenuto di meglio dopo la diplomazia del conte di Cavour? È sorto un piccolo regno di second’ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale.»

MAURIZIO BRUNETTI
in Il Settimanale di Padre Pio
Rivista settimanale di formazione e di informazione cattolica dei Francescani dell’Immacolata
anno IX - n. 10 - Roma 14 marzo 2010 - pp. 30-31

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